sabato 7 aprile 2012

Pensarsi libero


Vi sono, almeno, due modi di interpretare il rapporto fra il cittadino e la legge. Il modo che ci piace, quello “liberal”, può essere sintetizzato così:

Si può fare tutto, tranne ciò che è espressamente proibito.

E' facile notare che si parte da ciò che si può fare, tutto, a meno che non sia vietato dalla legge.

Il secondo modo, quello che non ci piace, quello “oppressivo”, parte invece dalla lista dei divieti e alla fine rimangono solo spiragli di libertà:

Non si può fare niente se non ciò che è espressamente consentito.

Se all'atto pratico non ci sono differenze, la prospettiva è molto diversa, perché una cosa è avere libertà regolate, un'altra avere divieti che lasciano margini di libertà.

Ebbene, in molte scuole, soprattutto primarie e secondarie di primo grado (elementari e medie), capita di vedere, girando per aule e corridoi, cartelli con la lista dei divieti. I divieti sono elencati dettagliatamente, minuziosamente, burocraticamente. Non correre, non masticare la gomma, non mangiare fuori dagli orari, ecc.
Tuttavia, a parte la dubbia efficacia educativa di divieti assurdi, a parte che una scuola che tende prevalentemente a vietare dà l'idea di essere oppressiva, notiamo che la rincorsa dei divieti a limitare le libertà è, fortunatamente, persa in partenza. Infatti un alunno potrebbe riempire di minestrone il cappello del preside in quanto non espressamente vietato... 

A volte siamo noi stessi a porci in una posizione subalterna alle leggi e forse è un atteggiamento indotto da una prassi. Ci pensiamo circondati da divieti. Sarebbe un'operazione di igiene mentale pensare, come prima cosa, di essere liberi.


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